martedì 26 settembre 2023

Ora che ho incontrato te, l'ultimo libro di Pellecchia, è una dichiarazione d'amore all'amore e alla musica


"Ora che ho incontrato te" di Rosario Pellecchia (Ross di Radio 105) è una dichiarazione d'amore in piena regola. È il finalmente di un ragazzo, che a dire scapestrato è poco, che incontra la lei che gli cambia la vita. È anche il finalmente di una ragazza che dopo tanto girovagare tra il passato e il presente e una ferita profonda che fa più male delle altre incontra lui che riesce laddove tutti gli altri non ci sono riusciti. È una storia piena di dolore ma anche di speranza, piena di musica nei posti giusti, piena di sorrisi ma anche di delusioni, di rivincite passando per cadute.

È la storia di Lorenzo, italiano trapiantato a New York, e Zoe che si incontrano nella più strana delle occasioni - un incipit che per gli amanti del genere ricorda “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby - e diventano presto inseparabili, unendo le loro difficoltà e gli schiaffi presi dalla vita.

È la storia della loro impresa folle capace di entrare in testa a tutti e due e scavare come un baco. Un’impresa che li porterà a girare per gli Stati Uniti alla ricerca di un cimelio per collezionisti e a attraversare i posti dove la musica è nata, dove il blues è stato quella carezza ai lavoratori nei campi, che alleviava le sofferenze, trasformandosi poi nel rock ‘n roll e diventando storia.

Un libro leggero ma intenso, mai banale, profondo, pieno di riferimenti culturali, un viaggio in piena regola via per via strada per strada dove la musica è nata, dove i protagonisti hanno fatto la storia. Due vite complesse, quelle di Lorenzo e Zoe, anche in virtù dei bagagli familiari che si portano dietro, ma due vite capaci di riscattarsi e di trovare la loro di strada, anche in mezzo alla confusione e alla ricerca dell’impossibile.

Un libro che merita di essere letto, non solo da chi ama la musica, ma anche da chi ama la narrativa.

mercoledì 9 agosto 2023

Chiamata dall'inferno, una recensione

Ho appena finito di leggere “Chiamata dall’inferno” di Elisa Averna, libro scritto interamente con la tecnica del breathless, ovvero quella tecnica narrativa dove la presenza del discorso diretto è totale. Niente descrizioni, niente narratore esterno, niente scene in cui viene descritto l'ambiente; tutte queste informazioni sono desumibili dai dialoghi.

Lo stile rispecchia una sorta di disegno mozzafiato, dove i personaggi, che vengono fatti parlare, si alternano sulla scena e vivono singolarmente le proprie vicende quasi ignari di quello che sta succedendo intorno.

È la storia di una donna la cui vita viene sconvolta dalla presenza di uno stalker che, ispirandosi alla Divina Commedia e ai suoi gironi, la tiene in scacco minacciandola attraverso il ricatto di farla saltare in aria. Infatti la casa dove vive Jessica con il compagno Mauro è piena, oltreché di microspie, anche di aggeggi pronti a causarne l'esplosione con o senza la presenza dei componenti.

Obiettivo del "gioco": Jessica dovrà individuare chi è Alpheus (il nome che lo stalker si è dato) entro nove giorni. E per farlo dovrà correre all’indietro e rivivere i propri peccati e le proprie mancanze. Se non riuscirà sarà costretta a incontrare il suo maniaco dal vivo.

Una serie di indizi, a essere generosi, ci fanno capire in largo anticipo chi sia il minacciatore, ma non certamente la causa della minaccia. Ed è questa la vera bomba finale. 

Finale nel quale il lettore e Jessica di troveranno faccia a faccia con la verità e con la voglia di vendetta di qualcuno, ma anche con i conti in sospeso di qualcun altro.




mercoledì 26 luglio 2023

Assassinio a Villa Borghese, una recensione


Dopo Amor Roma, è stata la volta di Assassinio a Villa Borghese, libro di Walter Veltroni che ho portato a termine in questi giorni caldissimi di questa estate.
Un libro che mi ha straconvinto nelle prime pagine e all'inizio della storia, così come nel finale. Diciamo che manca nella parte centrale. Lo svolgimento della storia, lo snocciolamento dei personaggi e delle cause, sono i grandi assenti.
Un libro comunque piacevole per lo stile e per i contenuti messi dentro da Veltroni che ti fanno scoprire una Roma centrale, ma periferica nell'animo. 
E' la storia di un commissario diversamente fortunato che viene spedito a investigare in un luogo dove tutto puoi fare fuorché il poliziotto. E invece, per una serie di circostanze, si trova tra le mani dei delitti efferati e terribili. Allora gli si presenta l'occasione della vita. Sarà la rivincita per tutto ciò che è andato storto, per le prese per il culo dei colleghi e i dubbi dei superiori, o sarà la definitiva fine di un personaggio tanto complesso quanto amaro?
Non sto a spoilerare la fine perché non avrebbe senso, ma si può dire che di scontato non vi è nulla in questa storia. Neanche il giornalista affiancato all'investigatore. Altra figura particolare e particolareggiata. Nel complesso un buon lavoro. Mi riprometto di leggere gli altri della serie.


 

martedì 25 luglio 2023

Amor Roma, una recensione


Amor Roma è un romanzo sull'infedeltà, ma soffice non una storia cruda di carne. 

E' un romanzo che delinea una via che si intreccia con altre vie che sono le famiglie presenti nella storia. 

I protagonisti sono ben delineati e sono tutti aventi caratteri e caratteristiche forti. La storia è narrata in prima persona da Anna, una delle protagoniste che si trova a indagare prima su una storia di tradimenti, poi a viverla, poi infine a indagare su qualcosa che credeva impossibile. L'indagine, a questo punto, non parte più da lei, ma lei si trova ad essere una pedina in un gioco più grande. 

La narrazione è piacevole, con qualche colpo di scena, anche se non sono all'ordine del giorno. Il finale, che chiude il cerchio, è coerente e riesce a stampare la parola fine tra le pagine del libro in modo che il lettore possa leggerlo. 
C'è un ulteriore personaggio non persona, ed è Roma. Lei è presente con le sue vie, i suoi odori e sapori, le sue certezze, i suoi ritardi, le sue sfaccettature. Il suo traffico. Le sue case, i suoi palazzi. 

Amor Roma parla degli uno e più amori che nascono a Roma, è il gioco del tradimento, che non è più un'eccezione ma diventa una regola.

 

mercoledì 8 febbraio 2023

Se pensavate di aver visto tutto su Sanremo, non avevate immaginato che Morandi avrebbe scopato sul palco del festival


Ebbene sì, la prima serata è andata.

Si sono esibiti in 7 su 14, ci sono stati i campioni in carica che hanno ripercorso la loro canzone, e uno di loro è ritornato sul palco, per poi sfasciarlo, per cantare (o provare) la sua ultima "L'isola delle rose". A tal proposito vi consiglio, se già non lo avete visto, un film in onda su Netflix, che narra proprio le vicende di questa strana isola nata in Italia, negli anni difficili e ricchi al tempo stesso.

Sono partito, con qualche minuto di ritardo, causa lavoro, perdendomi l'intervento di Benigni, l'inno cantato da Morandi e il conseguente saluto del presidente Mattarella. Ma visto i big in gioco, prenderò tutto per buono a fiducia. Mi sono sistemato davanti alla TV modello Fantozzi davanti a Italia-Inghilterra, ma per fortuna nessun megadirettore ha interrotto la visione. 

Ad una incerta Anna Oxa che ha cantato "Sali", che poi è la stessa cosa che penso tutte le volte che vedo Elodie, è stato lasciato il palco a un grande Mr. Rain che, rubando il coro di bimbi a Maria De Filippi, ha straconvinto. Eccome. 

Marco Mengoni, la cui canzone è stata abbondantemente sopra la sufficienza, ma il mio è solo un giudizio parziale del primo ascolto, Spotify a parte, mi ha riportato alla mente il De Sica di Grandi Magazzini. 




Così come Elena Sofia Ricci ha ricondotto la memoria a Francesca Chillemi e al loro "Che dio ci aiuti".
Fin qui tutto normale. Poi il palco è stato lasciato ai campioni in carica, Blanco e Mahmood che hanno cantato "Brividi", ma nulla in confronto a tutta la tramontana che ho preso in questi giorni, compreso ieri sera fino alle nove.

Alle 22.25 minuto più minuto meno finalmente il festival è scaduto nel trash. Gianni Morandi e Amadeus hanno intonato le peggiori canzoni del primo. 
Per fortuna, qualche minuto dopo, c'ha pensato Ultimo, con il suo solito stile, e con una canzone intitolata "Alba", che poi è la stessa ora a cui è finita la puntata, a portare la serata sul binario della musica. Sarà anche monotono ma è davvero forte e le sue canzoni sono, piaccia o no, un pugno in pieno viso. E' riuscito a strapparmi il primo vero "bravo" della serata, anzi no che cazzo dico? Il primo "bravo" è andato a Mr. Rain, diciamo il secondo. E non mi sono alzato a fargli una standing ovation solo perché la poltrona era troppo comoda. 
La canzone dei Coma Cose non mi esalta, al primo ascolto. Già stamattina, riascolticchiandola qua e là, mi è piaciuta di più. Il quasi limone finale aggiusta un po' tutto. Come sempre.

Ma fin qui festival perfetto? Niente affatto. Anche quest'anno dobbiamo sucarci Fiorello. Vabbè, andiamo avanti che è meglio.

Sarei stato disposto anche, a un certo punto, ad ascoltare tutta la discografia dei Pooh pur di farlo tacere. Ma niente. Ama non mi ha ascoltato.

Nulla da aggiungere su Chiara Ferragni, visto che già è stato detto e visto tutto, e c'è bisogno di rimarcare concetti già ascoltati, o su Elodie, che mi ha lasciato un attimo stordito e innamorato al tempo stesso. Ma questa è storia nota.

Blanco, come detto, a un certo punto, sfolla e sfascia tutto, ma Amadeus non fa niente per calmarlo, anzi lo chiama anche Salmo (dopo aver chiamato gIANMARIA Sangiovanni), di fatto riabilitando il suo comportamento. 

Prima vera sorpresa della serata: ottima prova dei Cugini di Campagna. 

Ma il mio top player canta tardi: e quando entra lui l'emozione è massima. Gianluca Grignani c'è. La prestazione non è assolutamente al massimo, ma la canzone è carica e i contenuti sono davvero emozionati. Comprensibile.

Cosa rimane da dire di questa prima serata? Ah sì, la svolta social di Amadeus e l'ottima performance di Mara Sattei. Insomma, anche a essere cattivi non c'è nulla che non vada in questa prima puntata. No, non riesco proprio a non farmelo piacere il Festival. 


L'unica nota stonata, forse, tutti quelli "Io Sanremo non lo guardo", ma poi stamattina sapevano più cose di me. Ma nulla di nuovo sul fronte. Tutto nella norma.

Alla prossima puntata. Cioè, a fra poche ore.

lunedì 6 febbraio 2023

In mezzo alla tempesta, senza aver paura. Perché è importante guardare Sanremo


Conversando con una persona proveniente da un’altra parte del mondo, questa mattina me ne sono uscito con un “Sai perché non ti piace e non guarderai Sanremo? Perché non hai ancora capito gli italiani”.

In effetti, lungi da me redigere un manifesto d’amore per l’Italia e gli italiani, credo che il Festival di Sanremo sia lo specchio di un paese e dei suoi cittadini che magari non saranno il più bello e i migliori, ma rappresentano comunque qualcosa di unico o, per dirla con meno enfasi, di singolare.

È iniziata, dunque, la settimana di Sanremo e il freddo polare di questi giorni, per un amante dell’estate, passa in secondo piano. Questa mattina ho aperto Spotify e ho fatto partire la mia playlist storica di Sanremo. Sì insomma ci sono. Sono pronto. Pronto a commentarlo, più o meno seriamente, comodamente poggiato sul mio divano con una organizzazione alla Fantozzi.

Sì c’è stato un tempo che non guardare Sanremo mi faceva sentire ribelle. Poi decisi di non guardarlo solo quando non ci fosse stato in gara il mio cantante preferito, infine mi sono convertito e ora non posso fare a meno di guardarlo, chiunque sia in gara. Perché Sanremo è Sanremo, come diceva una celebre sigla. Ma anche perché nel corso degli anni è cambiato, si è evoluto, è diventato altro, in parte. Sì, certo, anche io ho i miei gusti e alla conduzione di Amadeus ho preferito di gran lunga quella di Baglioni, alle battute di Fiorello preferirei di gran lunga la pubblicità, e via discorrendo. Sono gusti. Bene così.

Ma il punto non è quello. Il punto è perché, come dicevo all’inizio, Sanremo rappresenta gli italiani? E lo fa appieno? Perché gli italiani hanno bisogno di un sistema bipolare. Sì, come quello elettorale. O di qua o di là. Gli italiani hanno bisogno di schierarsi. Il fatto che poi, a gara terminata, salgano sul carro del vincitore, quella poi è un argomento che tratteremo in un altro post. Hanno bisogno di schierarsi, di scegliere, di dividersi. Su tutto. E le polemiche, guarda caso (senza fare i complottisti), anticipano sempre puntualmente ogni edizione del Festival. Ritengo che sia qualcosa di geniale.

E la polemica non è spicciola, anzi. È anche abbastanza grossa. E allora, oltre a quelle classiche, gender, immigrazione, diritti civili, crisi climatica, covid, quest’anno si è aggiunta la presenza di Zelensky. Una roba che scotta. Insomma siamo in guerra, mica nella settimana del derby. Ora, io non ho alcuna simpatia per questo o quel capo di stato impegnato in guerra, ha molta simpatia per quei popoli che la guerra la subiscono, che muoiono sotto le bombe, che perdono tutto, al di là delle ragioni del conflitto. Perché le ragioni, se ci sono, non possono mai giustificare una bomba sopra una abitazione. Detto questo, però, Zelensky è il capo di stato dell’Ucraina. Perché non ascoltarlo, al di là delle legittime idee di tutti? Insomma abbiamo visto e commentato per mesi il celebre tatuaggio a forma di farfalla di Belen che al di là dell’appagamento più visivo che sessuale, non ha aggiunto nulla di più alla nostra vita. Perché non ascoltare il capo di uno stato in guerra? Con tutti i se e con tutti i ma del caso.

Ecco, la polemica Sanremese. Sta tutto là. Per questo capire gli italiani aiuterebbe a capire Sanremo.

E poi c’è la musica. Mentre ascoltavo la playlist di cui parlavo sono venute fuori tre canzoni, una più assurda delle altre. Ve ne citerò solo una: “Gli altri siamo noi” di Umberto Tozzi. Ascoltatela, se non la conoscete. Senza Sanremo non avremmo avuto questo capolavoro. Cazzo!

domenica 20 novembre 2022

I miei libri editi

Ciao, rispondo con un unico post alle richieste sulle mie pubblicazioni. Ho pubblicato, finora, tre libri. 

Uno un racconto uscito nel 2020, ambientato e scritto durante il primo lockdown, che qui ordinare al seguente link:

Il piano inclinato

Un altro all'interno di un'antologia di racconti scritti da librai di tutta Italia, che qui ordinare seguendo quest'altro link:

Ti ho trovato fra le pagine

Infine, il terzo è uscito a febbraio 2023 e si chiama Quattro anni in fumo. E' disponibile anche qui:

Quattro anni in fumo

Ovviamente ti aspetto sul blog per ascoltare e leggere i tuoi giudizi. A presto.